domenica 23 luglio 2017

Ryanair, gratta e vinci, beneficienza e pubblicità ingannevole


Sabato, 22/7/2017, volo Ryanair Lamezia-Pisa: il tragitto è una specie di suk in cui ti propongono di tutto, a getto continuo, stile vendita delle pentole. Dulcis in fundo viene proposto un gratta e vinci.
Sorvolando su quel che penso del gioco d'azzardo, questo viene presentato cone splendida occasione di vincere una Fiat 500 e numerosissimi altri premi, anche in denaro, fino a 15.000 Euro, facendo un'opera buona , cioè concorrendo al finanziamento dell'ospedale Meyer di Firenze.
Non una parola sulla probabilità di vincere, ma fa parte del gioco (d'azzardo) nascondere l'inconsistenza dei premi nei giochi ad estrazione, altrimenti lo comprerebbero solo analfabeti, anzi analfamatici. Quello che mi ha urtato è che neppure il peso dell'offerta di solidarietà viene specificata.
Tornato dal viaggio, ho cercato informazioni sul sito Ryanair,  e non ho trovato nulla. "Googlando" un po' ho trovato che Ryanair ha offerto 15.000 euro all'ospedale citato, e non ho letto null'altro. Sul ticket del gratta e vinci sono citati diversi enti cone beneficiari,  senza ulteriori indicazioni.
Mi chiedo: è una percentuale del prezzo? Il destinatario è legato alla tratta? Insomma, è significativo o è solo un modo di - con un contributo ridicolo - vendere più biglietti spacciandoli per un Telethon in piccolo? Perché questo mi sembrava proprio il messaggio della presentazione...
Mi chiedo qual'è il significato esatto di "Pubblicità ingannevole".


mercoledì 15 giugno 2016

Globalizzazione, virtualizzazione, lavoro


Ho letto recentemente scritti di Leonardo Becchetti, Luigino Bruni, Pietro Ichino, Stefano Quintarelli (e di Papa Francesco!)  e c'è una cosa che mi disturba.

Credo di aver chiaro quali sono i problemi di natura economica che attanagliano la società del "tecnocene"; e mi fa piacere che, finalmente, inquinamento e effetto serra siano una quasi unanime preoccupazione, dopo un paio di decenni di ottuso negazionismo. 
Ma sul piano sociale, e strettamente su quello del lavoro? Dopo la società del benessere, quella imminente sembra piuttosto essere la società del malessere.

Senza fare catastrofismo: i problemi bisogna conoscerli per affrontarli, altrimenti ci si fa travolgere. I politici prendono iniziative sulla pancia degli elettori ed è pia utopia pensare che si suicidino elettoralmente affrontando problemi di cui nessuno (ancora) si interessa (con le dovute, ma rare, eccezioni). I giornalisti ho l'impressione che... idem (con le medesime eccezioni). 

Arrivo al punto, che può dipendere benissimo da una eccessiva semplificazione o da un mio limite di comprensione dell'economia, che sembra una (non) scienza impazzita, eppure... eppure...  e senza luddismo...

Prima premessa: il lavoro è stato abbandonato al mercato come se fosse un qualunque altro fattore di produzione, e il triangolo attrezzature-lavoro-capitale sta perdendo una dimensione. Rendendo di fatto dominante il capitale, con la conseguenza che non c'è più economia ma solo finanza, e non ci sono più imprenditori, ma solo banchieri, nella stanza dei bottoni. 
Preziosi i richiami del Papa sulla dignità del lavoro, ma ora come ora sono considerati da tutti pura utopia, no? 
Comunque, se su questa premessa non si è d'accordo, è inutile proseguire, bisogna cambiare tavolo.

Seconda premessa: la crescita della tecnologia è esponenziale - almeno finora - e oggi è definibile esplosiva. Così lo è l'efficienza della produzione. L'economia finora e stata supportata dal consumismo, che ha chiesto più beni a una industria che ha, a sua volta, chiesto più strumenti  di produzione creando in ultima analisi ulteriore fabbisogno di lavoro. L'innalzamento del reddito da lavoro, in un loop di feedback positivo, provoca ancora più richiesta di beni, e fino a quando la crescita del consumo è stata superiore alla crescita del'efficienza (e fin quando c'era qualcosa di materiale ancora da desiderare, in occidente) domanda e offerta di lavoro si son potute confrontare.

Terza premessa: la globalizzazione; la possibilità di trasferire istantaneamente capitale grazie alla rete; l'efficienza di produzione che rende più economico costruire una nuova fabbrica che ristrutturarne una obsoleta; la vergognosa differenza di reddito, e quindi di aspettativa, di più di metà mondo: insieme questi fattori hanno reso l'offerta di mano d'opera (anche intellettuale) di gran lunga superiore alla richiesta.

Quindi, in uno scenario con eccesso di offerta, abbandonare il lavoro alle sole regole di mercato significa (ragionando al limite) abbassare il reddito alla pura sussistenza: finché la retribuzione permette di sopravvivere, ci sarà qualcuno disposto a lavorare per quell'importo. Ed ecco nascere i working poors anche nella opulenta civiltà occidentale, e la crescita (anch'essa esponenziale?) della diseguaglianza, con un generale abbassamento dei redditi medio alti, medi e bassi. 

Ma, se c'è un limite a ciò che possono consumare pochi ricchi, si può innestare un altro feedback positivo: meno reddito » meno consumo (comunque più efficienza) » meno lavoro » meno reddito... con conseguente più disagio, più scontento, più rabbia, più delinquenza ecc ecc

ne deriva che, essendo inutile battersi contro la tecnologia (è nata con la scheggiatura della selce e da allora non ha mai perso una guerra) va cambiata questa economia (nata da pochi decenni, e da allora ha fatto diversi morti e feriti), cambiando l'offerta del lavoro. Nella mia pochezza non vedo altra strada possibile che lavorare meno, rispolverando l'obsoleto "lavorare meno, lavorare tutti", smettendo di difendere il posto di lavoro e difendendo il lavoro e la sua dignità: difendere solo il lavoro non è sufficiente. Non possiamo stare a vedere persone avere due impieghi, o lavorare 16 ore al giorno (magari per il caporalato virtuale, vogliamo parlare di chi adotta Uber come primaria fonte di reddito?)

Ora, visto che questo aspetto non è in nessuna agenda di discussione che conosco, o è limitato a salotti esclusivi o proprio non viene considerato. Direi la seconda.
Solo se entrerà nella coscienza dell'elettorato (sempre che la democrazia sopravviva) si potrà pretendere risposte politiche, ancor più difficili in quanto non ristrette alla nazione e neppure al continente. Ma comunque la soluzione non può che venire dal basso. Su le maniche.


PS: ho nominato più volte la crescita esponenziale: chi volesse chiarimenti può leggere qualcosa di scientifico oppure qualcosa di più esperienziale
Ho nominato anche feedback: non è positivo perchè dà buoni effetti: è positivo se genera instabilità, negativo se tende a stabilizzare un fenomeno.



giovedì 14 aprile 2016

Referendum, trivelle, energia e futuro.


STOP A TRIVELLE E IDEE FOSSILI MA NON BASTA PROTEGGERE LE COSTE - Avvenire

Disanima equilibrata mi sembra; ma magari è perché sono di parte (la stessa).

Quello che credo è che il segnale di credere che il petrolio già trovato (nel senso che sappiamo dov'è) sia da estrarre e bruciare prima di abbandonare l'energia fossile è suicida. Ed è in questo senso che vedo l'effetto del sì al referendum: i pozzi sui giacimenti già noti non sono da coltivare fino all'esaurimento: vanno chiusi prima. Chiuderli alla scadenza della concessione è una opportunità più importante sul piano educativo che pesante sul piano economico.

Il segnale che si dà agli investimenti è più forte dell'aspetto legislativo: puntiamo davvero sull'energia pulita e sull'efficienza energetica, o è il solito specchietto per le allodole (noi) per favorire i cacciatori, cioè chi ha investito e purtroppo ancora investe ed investirà, nel petrolio e derivati?

Si straparla di posti di lavoro: abbiamo (dati Mef) 132 piattaforme, 92 delle quali entro le 12 miglia che chiuderebbero tra il 2018 e il 2034;  44 di queste sono non operative, eufemismo per dire che ci si risparmia i costi di smantellamento (obbligatori) lasciandole dove sono a marcire. Quanta gente ci potrà lavorare (tralasciando il fatto che nel medio periodo sono sempre disponibili posti di lavoro per queste qualifiche su piattaforme d'alto mare)? Si scrivono numeri che comprendono l'indotto di costruzione, installazione e avviamento, che saranno comunque fermati (e smantellarle davvero nei prossimi 20 anni ne richiederebbe di più). Ma l'indotto lavora (spero!) anche su tecnologie più difficili, come le piattaforme galleggianti e immagino con clientela estera, non camperà certo delle piattaforme sui bassi fondali dell'adriatico.

Ma sto perdendo di vista l'aspetto più importante e voglio ritornarci: molto del petrolio che già conosciamo va lasciato dov'è. Cominciamo dal nostro.


mercoledì 25 settembre 2013

Telecom è ispanica. E pure piove, governo ladro.


Mi incuriosisce il vizio che sta all'origine del detto: è incapacità di analisi, pigrizia nell'informarsi o è proprio che noi italiani stiamo bene delegando tutte, ma proprio tutte, le responsabilità e vivendo le nostre vite da cicale?
Telecom è stata comprata, non da italiani, in un libero mercato con libera trattativa che i Catoni liberisti (anche quelli che ora si stracciano le vesti) hanno declamato fino a ieri e declameranno domani. Però il governo non doveva permetterlo. Con quali mezzi e con quale autorità nessuno prova a dirlo.
Certo poteva nazionalizzarla, tanto peggio di così l'Italia all'estero non può essere vista. Adesso proviamo a mettere qualche bastone tra le ruote e tanto vale che moltiplichiamo lo spread per 10...
Il governo che abbiamo, ma sopratutto quelli che ci siamo eletti dal 70 in poi (prima non ricordo come funzionava) hanno amministrato con l'attenzione del buon padre di famiglia, come no. Più che altro hanno viziato i figli che ora sono qui a lamentarsi che tutto è loro dovuto, colpe non ne hanno e responsabilità non parliamone. Governo incapace.
Se l'imprenditoria è l'espressione della società, proviamo a chiederci PERCHÉ Telecom non è più nazionale.



domenica 4 agosto 2013

Un giorno si farà chiarezza nella politica italiana?


Leggo sul sito di Italia Futura, a firma Montezemolo:
"Berlusconi può uscire bene da questa vicenda se saprà mantenere i nervi saldi, continuare a sostenere il governo Letta lealmente (come ha peraltro fatto sino a ora con persino maggiore convinzione del PD) e lavorare alla rifondazione di un’area liberale e moderna di centro destra, di cui l’Italia ha grande bisogno. A questo progetto, se impostato seriamente, e con grande attenzione alla qualità della classe dirigente, molti, fuori e dentro la politica, sarebbero interessati a dare un contributo. Se viceversa Berlusconi deciderà di scatenare l’ultima ordalia contro le istituzioni e gli interessi del Paese, nessuna forza politica responsabile, o cittadino che abbia a cuore il futuro dell’Italia, potrà sostenerlo o rimanere indifferente"

Siamo d'accordo nel giudizio, non sull'ultima frase; temo che cittadini e forze politiche che lo sostengano ne troverà sempre: etichettarli come irresponsabili non giova a nulla.
E chi sono gli attori della area liberale e moderna di centro destra? Non è dato capire dove si colloca, o si vorrebbe collocare "se", lo stesso Montezemolo.

Attendo con interesse l'assemblea di Scelta Civica: chi mi conosce sa quanto io aborri l'UDC e i suoi comportamenti opportunisti e ipocriti ma sa anche che mai mi presterò alla costruzione di un nuovo centrodestra se questo termine significa liberista. E come altro potrei leggere "area liberale e moderna di centrodestra" nella storia (mondiale) recente?
Non basta voler curare i sintomi (il disastro recente della economia italiana) si deve anche diagnosticare e curare la malattia. 

Da una parte aspetto di capire cosa intende Scelta Civica per economia sociale di mercato (Monti alla assemblea degli eletti in SC: "Dobbiamo unire anima sociale solidaristica e anima liberale democratica: economia sociale di mercato").  Dall'altra parte spero ardentemente nasca una nuova destra liberale: così finalmente potremo tornare al confronto politico dopo 40 anni di scontro ideologico (sarebbe meglio frantumare pure il PD e veder nascere una sinistra moderna e un centro sturziano ma forse é sperare troppo).

Una meditazione utile è chiedersi se ricordiamo di aver letto in un programma elettorale qualsiasi degli ultimi 20-30 anni quale modello di società si intende realizzare? Un dibattito politico dovrebbe avere qui il suo centro nevralgico: quanto solidale , quanto liberale, quanto attenta alla crescita, quanto attenta agli ultimi, quanto premiale, quanto inclusiva, quanto accogliente, quanto chiusa vorremmo fosse l'Italia di domani?




martedì 18 giugno 2013



Lettera al direttore, pubblicata su Avvenire del 18 giugno 2013

 
Caro Direttore,
grazie alla riforma Fornero la mia pensione si sposta dal 2015 al (forse) 2021. Questo non mi preoccupa: lavoro volentieri, fin che il lavoro c'è... oggi, quando si è fuori, si è fuori, sopratutto oltre i 50...
Intendiamoci: non credo nell'assistenzialismo, ma un po' di abitudine ad analizzare dati (per professione) mi porta a interrogarmi sulla incoerenza alla base dei provvedimenti invocati ed attuati per fronteggiare la crisi: si trattiene al lavoro un “diversamente giovane” per risparmiare sulla pensione e poter fornire un sussidio di disoccupazione?
Come la politica della parità di bilancio eccessivamente rigida, deprimendo i consumi, ha peggiorato la crisi economica, così diminuire o bloccare la fuoriuscita in un un momento in cui entrare nel mondo del lavoro è una lotteria vinta, più fantasia (in economia si chiama innovazione), più coraggio, più determinazione sono necessarie per rompere lo schema “chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori”.
Mi chiedo se davvero le timide voci di scambio generazionale siano state considerate o semplicemente archiviate come farneticazioni in nome di un “conservatorismo”; cioè resistenza al cambiamento che poi è la caratteristica di una compagine di comando “vecchia”.
Caro direttore, se mi si offrisse un part time con affiancamento di un neoassunto che mi sostituisca tra 5-6 anni quale sarebbe il costo?
Lo stato potrebbe non chiedere contributi per il mio part-time, compensando così una parte della riduzione del mio reddito; eviterebbe il sostegno a un non occupato, che comunque la società deve erogare per mantenerlo (essendo improduttivo, ma vivo) o direttamente come Stato o come famiglia; avrebbe i contributi del suo compenso al posto dei miei e senza avere una pensione da erogare come richiesto dall'equilibrio del settore.
L'azienda rischia pure di risparmiare (i contributi risparmiati e metà del mio costo probabilmente sono più del costo di un neolaureato in questo mercato drogato che non bada meno alla competenza che alla anzianità) e si garantirebbe il mio know-how, il suo trasferimento a un giovane e l'energia di forze nuove.
Avremmo un non occupato in meno, un familiare a carico in meno, uno scoraggiato in meno. Non è poco.
Non è facile. Ma perchè, deve necessariamente essere facile ben-amministrare?
Ovviamente non è la panacea, non può essere applicato dappertutto e per tutti, ma molti ex giovani oggi potrebbero sopportare un taglio di reddito purché i figli lavorino e non siano più a carico, e la sanità non diventi un onere da pagare invece che un servizio di cui usufruire. Sicuramente un genitore avrebbe convenienza anche economica nel lavorare in part time e non avere il figlio 25-enne a carico e nullafacente.
Qual'è il problema? Che nessuno ne approfitti (ad esempio lavorando o facendo lavorare l'altro 50% del tempo in nero) sia dal lato datore di lavoro che lavoratore. Come sempre il problema è etico!




giovedì 28 marzo 2013

Italica storia


Storiella (di origine ambientalista):
C'è una comunità di pescatori che vive (di pesca) intorno a un laghetto.
Vengono importate tecniche di pesca molto efficienti, per cui ci rende conto che il pescato è maggiore della capacità produttiva del lago.
Da buoni amministratori e persone intelligenti, i pescatori mettono al bando le tecniche "distruttive" e/o limitano il pescato pro-capite. 

La storia, per il nostro paese la faccio procedere così: qualcuno fa il furbo e vive meglio degli altri che si autolimitano. Nessuno prende provvedimenti non solo perché la lobby dei furbi è potente ma anche perché in fondo si vive meglio pescando di più e tutti sono felici e contenti, da buone cicale. Quindi i furbi aumentano fino al punto di depauperare il lago, e la pesca diventa meno efficace a tal punto che chi pesca onestamente non riesce a sopravvivere.

Reazioni:
Tipo uno: i capi sono i ladri, inetti e corrotti. Si nega che il problema sia la pesca troppo sfruttata e si resta nella melma, si cambiano i capi ma non si affrontano i problemi alla radice. Se vince si rende il lago sempre più povero.
Tipo due: si pesca tutti meno per diversi anni di vacche povere, ma la fauna ittica recupera e si torna a una situazione sostenibile.
Tipo tre: si difendono i furbi che arricchiscono di più e e gli altri abbozzino, abbagliandoli con promesse e specchietti per le allodole.
Tipo quattro: tutto va bene madama dorè. Basta dare pesce a tutti levandolo a chi pesca con metodi illegali.

Ora: il lago è la capacità della nazione ad essere credibile in presenza di deficit: fino a un certo punto si può indebitarsi, fino a quando non si dubita della capacità di restituire il debito; i furbi... sono i furbi: clientele, evasioni fiscali, lavoro nero.

Avete votato - e voterete - un partito che promuove reazioni più aderenti al tipo 1? 2? 3? 4?